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Dal Paradiso all’Inferno, Deborah Compagnoni ad Albertville

STORIE. Sono trentasette le medaglie d’Oro italiane alle Olimpiadi invernali e Olympialab, seguendo il rintocco del conto alla rovescia verso la Cerimonia di Apertura, vi propone ogni giorno il loro racconto: non pura cronaca ma una lunga storia sul filo dorato di 56 anni di Giochi Olimpici.

 

Dal Paradiso all’Inferno, Deborah Compagnoni ad Albertville

Le Olimpiadi di Albertville di Deborah Compagnoni si concludono su di una porta del SuperG con un urlo straziante ascoltato in Mondovisione e che rimarrà nel cuore di tutti coloro che hanno avuto il dispiacere di sentirlo. Un urlo di dolore per un ginocchio che è saltato ma anche di disperazione per un nuovo ennesimo calvario, un nero tunnel che si riaffacciava di fronte alla valtellinese. Eccezionalmente dotata da Madre Natura della capacità di stare sugli sci e farli scorrere veloci, altri numi hanno messo i bastoni tra le ruote a Deborah, nata a Bormio il 4 giugno 1970 ma fieramente residente a Santa Caterina Valfurva. A sedici anni non ancora compiuti, la Compagnoni conquista la medaglia di Bronzo in Discesa ai Campionati Mondiali Junior di Bad Kleinkirchheim. Davanti a lei solo la statunitense Lindh e l’austriaca Geisler della quale si sono perse le tracce dopo quella gara. L’anno successivo, siamo nel mese di marzo del 1987, Deborah fa ancora meglio: ancora i Campionati Mondiali Junior. Oro nel Gigante – davanti a Petra Kronberger che proprio ad Albertville conquisterà due Ori coronando tre anni di vittoria della Coppa del Mondo – , Bronzo nella Discesa.

Lo sci italiano è alla disperata ricerca di un talento in campo femminile nei mesi nei quali si assiste alla inarrestabile ascesa del primo Alberto Tomba e la Compagnoni esordisce in Coppa a Sestriere proprio il giorno dopo la prima vittoria in carriera del bolognese. Hanno molti punti di incrocio le loro carriere anche se una in questi anni è sempre in discesa, una più simile ad un percorso ad ostacoli. Nel SuperG ottiene un ottimo quinto posto, una settimana dopo a Val d’Isere è quarta in Discesa Libera e La Stampa titola “Forse sta nascendo una stella ma conviene dirlo sottovoce”, troppe le speranze bruciate negli anni precedenti. C’è ancora il tempo per il quindicesimo posto nel SuperG di Lech ad inizio gennaio e arriva la prima botta. Nelle prove della Libera di Zinal cade malamente e si lesiona i legamenti crociati del ginocchio destro. Viene operata a Bergamo e inizia un calvario di riabilitazione, piccoli segnali di miglioramento, dentro e fuori da cliniche, un tutore portato per mesi, più di un anno. Non può flettere completamente la gamba e nell’estate del 1990, più di diciotto mesi dopo l’operazione, negli allenamenti sul ghiacciaio della Val Senales ricompare anche il dolore. Deborah stringe i denti ed inizia la stagione: nonostante tutto ad agosto è settima nel SuperG di Las Lenas in Argentina ma fatica. Tira la carretta senza fare risultati fino al Gigante di gennaio al suo paese, a Santa Caterina Valfurva. Strappa un sesto posto ma ha già deciso di fare le valigie, direzione Ospedale di Lione dove il professor Chambat asporta il legamento artificiale e lo sostituisce con tessuto naturale asportato dalla zona rotulea. La attende una nuova lunga riabilitazione fino a quando a settembre riesce a rimettere gli sci ai piedi. Un mese dopo l’ennesimo colpo del destino, una grave occlusione intestinale le fa rischiare la vita fino all’intervento in extremis all’ospedale di Sondalo con l’asportazione di 70 centimetri di intestino. Convalescenza, recupero, antibiotici a iosa. La stagione 1990/1991 si sta avviando alla conclusione quando la si rivede, a Vail in Colorado, su di una pista di Coppa del Mondo e subito ottiene il quarto posto nel Gigante.

Nell’estate preolimpica per la prima volta, Deborah Compagnoni riesce a fare una preparazione completa, compreso un periodo con Alberto Tomba e il suo clan, e a presentarsi in condizione al via della stagione che porta ad Albertville. DI necessità ha dovuto fare virtù iniziando a dedicarsi maggiormente alle discipline tecniche, Slalom compreso. E proprio tra i pali stretti, a Lech, nella seconda gara in calendario, ottiene il primo piazzamento, ottava nella gara vinta da Blanca Fernandez Ochoa. A dicembre nel Gigante di casa è seconda solo alla immensa svizzera Vreni Schneider, quarta Barbara Merlin. In SuperG è tredicesima. La condizione c’è e sono scomparsi i freni fisici e psicologici; il 5 gennaio a Oberstaufen è di nuovo seconda in Gigante. La maledizione del secondo posto continua anche dieci giorni dopo nel Gigante di Hinterstoder dove la precede la francese Carole Merle.Vreni Schneider la precede anche nello Slalom di Maribor il 18 gennaio. Il 26 gennaio, nel’ultimo SuperG prima delle Olimpiadi di Albertville, a Morzine, Deborah centra finalmente l’appuntamento con la vittoria. Precede di 44 centesimi la povera Ulrike Maier e di 59 la norvegeseFjeldavle, è nata la “bomba rosa”. Il giorno dopo in Gigante è ancora seconda dietro a Carole Merle.

Si va ad Albertville e se in campo maschile tutte le pressioni sono rivolte verso Alberto Tomba, atteso al bis olimpico dopo Calgary, in campo femminile lo Sci Alpino è solo Deborah Compagnoni in grado di andare sul podio in ben tre gare, tutte quelle nelle quali è iscritta. L’azzurra con il suo sorriso è serena, il giorno dell’antivigilia del suo primo impegno, il SuperG, confessa di dormire tranquilla pur sapendo che “al cancelletto qualcosa succederà dentro. Vorrei soltanto scendere come se fosse una gara di Coppa del Mondo”. La valtellinese si attribuisce le maggiori possibilità in Gigante, “dove ho ottenuto i risultati migliori anche se ho vinto in SuperG. In Slalom, invece, sbaglio troppo, e in SuperG non memorizzo bene la pista”. Dopo la ricognizione della vigilia pare ancora rilassata anche se la neve è un po’ molle per la pioggia, il pendio sembra piacerle. Una sola preoccupazione, non è ancora in primo gruppo in SuperG e dovrà partire con il pettorale 16. La gara, originariamente prevista per il lunedì 17 febbraio viene spostata al giorno successivo, la stessa giornata del Gigante di Alberto Tomba, ennesimo crocevia tra i due che si sentono la sera prima della gara. Deborah dorme la notte prima dell’esordio olimpico e ha un sogno, vede il suo nome sul tabellone elettronico prima di quello di tutte le altre.

C’è il sole sulla Face du Bellevarde, la pista disegnata dall’ex campione svizzero Bernard Russi perqueste Olimpiadi. Con il pettorale 4 parte una delle favorite, sostenuta da tutto il tifo del pubblico di casa, Carole Merle. La francese ferma i cronometri sul tempo di 1’22”63. Continuano le discese e nessuno riesce a superarla. Ai microfoni dei radicocronisti transalpini, la Merle biascica “Ci sono ancora due avversarie pericolose, la Kronberger e la CompagnonI”. L’austriaca sbaglia molto e finisce anche dietro alla giovanissima tedesca Katia Seizinger, seconda nella classifica provvisoria. Deborah pennella, non sbaglia nulla. Ventitre centesimi di vantaggio al primo intertempo, più di un secondo e mezzo al secondo, un secondo e 41 centesimi al traguardo. Con il Bronzo la Seizinger è a 1”98. “Ho sciato bene, non sono mai stata così felice” e non può non dedicare la medaglia a tutti i medici e tutti gli ospedali che le è toccato frequentare. Deve andare a letto presto perché l’indomani c’è il Gigante dove osserva “sono convinta che la medaglia mi aiuti. Conto di fare bene, certo sarà più difficile, in pista ci sarà pure Vreni Schneider e scusate se è poco”.

Dura sette porte il Gigante della Compagnoni: scivola sull’interno destro e cercando di rimettersi in linea spostando tutto il peso sulla gamba sinistra, sente un crack come quando si è fatta male la prima volta ma all’altro ginocchio. Emette l’urlo irreale che tutti hanno ancora nel cuore e rimane distesa sulla neve con ginocchio stretto tra la braccia. Rottura del crociato anteriore dice la diagnosi e Deborah sceglie di operarsi subito non prima di trovare la forza di presentarsi con le stampelle nell’albergo della squadra e aprire una bottiglia di champagne per festeggiare l’Oro del SuperG, così vicino e così lontano.

 

 (16. continua)

Contenuto ceduto in esclusiva dall’agenzia alaNEWS. Riproduzione vietata. Anno 2014.

Massimo Brignolo

Manager di una multinazionale, da quasi 50 anni guardo allo sport con gli occhi sognanti dell'eterno ragazzo. Negli ultimi anni, fulminato dall'aria olimpica respirata nella mia Torino, ho narrato lo sport a cinque cerchi, quello che raramente trova spazio nei media tradizionali. Non disdegno divagazioni nel calcio, mettendo da parte l'anima tifosa, che può ancora regalare storie eccezionali da narrare a modo mio.

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