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Gabriella Paruzzi e l’Oro giusto che batte il doping

STORIE. Sono trentasette le medaglie d’Oro italiane alle Olimpiadi invernali e Olympialab, seguendo il rintocco del conto alla rovescia verso la Cerimonia di Apertura, vi propone ogni giorno il loro racconto: non pura cronaca ma una lunga storia sul filo dorato di 56 anni di Giochi Olimpici.

 

Gabriella Paruzzi e l’Oro giusto che batte il doping

Gabriella lo guarda e lo appoggia sulla sua felpa blu di quel suo petto forte, in centro a quelle spalle larghe. La guarda e lo tocca, lo gira, lo tormenta, quasi lo martoria. E’ l’Oro, il sogno di una vita, ma non ha niente di nato sul campo. E’ l’Oro della vergogna per Larissa Lazutina che vince la 30 chilometri delle Olimpiadi di Salt Lake con l’aiuto della Derbopoietina, una roba tipo l’Epo, ma più difficile da stanare. La formidabile russa, sulla pista, era stata imprendibile, forse quanto lo è la gioia vera, quella totale, per quell’Oro che adesso è in mezzo al seno di Gabriella. Non c’è proprio tutta la gioia di un traguardo arrivato come vero culmine di una carriera, quel 24 febbraio del 2002. No, non c’è tutta la gioia di un Oro infilato al collo con l’arrivo al traguardo. Lei Gabriella Paruzzi da Camporosso, Tarvisio, “che i miei manco erano sportivi…”, vorrebbe ritornare indietro nel tempo e rigiocarla ad armi pari, ma non può, maledetta miseria, non può. Perché lei sul campo aveva fatto tutto quello che un’atleta poteva fare, battendo anche la compagna e faro Stefania Belmondo. Ma l’altra…

Un finale in crescendo il suo, quello di Gabriella, sui binari di quella pista immersa nel verde assoluto dei boschi dello Utah, un crescendo rossiniano nel quale la sua sciata lascia dietro di se forza e bellezza, energia e grazia. La Paruzzi infila il rettilineo dell’arrivo con il passo di chi è da Oro, ma avrà sul campo l’Argento. C’è la potenza e l’imperiosità di chi vince in quella tecnica classica un po’ sporca perché recitata in modo troppo ingordo, quasi violento. Alla fine del dritto c’è la Belmondo che l’aspetta e Gabriella taglia il traguardo e sviene (si fa per dire, ndr) cadendo a terra per quella forza che viene meno, quella forza che fino a un momento prima della linea era scaricata sulla terra e il momento dopo è buona solo per esalare l’ultimo respiro e crollare in preda allo sfinimento. Chissà quanto sprigiona in termini di watt una sciatrice che sulla pista vince un Argento nella 30 km olimpica. Chissà quanto sprigiona in termini di rabbia una sciatrice che, dopo poche ore, sa che la gara non finiva lì, ma era già finita da un po’. Cioè, vincere un Oro olimpico perché quella che ti stava davanti era dopata marcia, beh, lo si può intuire: è una cosa che fa incavolare di brutto.

A Gabriella Paruzzi da Camporosso, Tarvisio, succede questo perché, una manciata di ore dopo la fine della 30 chilometri di Salt Lake City, esplode una provetta di sangue che trova Derbopoietin (o vattelapesca come diavolo si chiama) nel sangue della Lazutina, sputandola via dal podio. Gabriella Paruzzi sale di un gradino il podio e diventa d’Oro, mentre la Belmondo ci resta d’Argento, completando un medagliere azzurro imponente, medagliere che con questo passo in avanti di qualità del metallo proietta l’Italia, in quella Olimpiade, tra le superpotenze bianche. Eppure… eppure Gabriella mastica amarissimo. “C…o – esclama a più riprese -. Me lo strapperei dal collo. Non voglio che questo Oro sia ricordato come un Oro regalato dal Cio, ma ho l’impressione che lo sarà. Non sarà mai totalmente mio”. Eppure Gabriella, sono le gare a dirlo, lo merita. Lo dice anche Stefania Belmondo, la compagna di Bronzo poi argentato che in quelle ore in cui le medaglie cambiando colore non si dà pace per un sacco di buoni motivi. Stefania passa dallo straniamento alla pietà quando pensa alla chiacchierata fatta con la Lazutina poche ore prima di andare sui binari. “Mi ha parlato della figlia, del fatto che presto smette, delle speranze per il futuro e per una vita anche dopo lo sci”. Perché fare così? La Belmondo e la Paruzzi vedono i fantasmi di tante gare che magari sono finite in un certo modo perché di fianco a loro c’erano tante Lazutina.  Quel treno russo deraglia, si accartoccia, sebbene i vagoni del comitato olimpico del suo paese facciano un rumore infernale nel tentativo di restituire alla potentissima atleta del loro paese quell’Oro che è di Gabriella Paruzzi.

Ci sono giorni in cui la vita dipinge scenari che non puoi cambiare. Chissà dov’è quell’Oro e cosa pensa Gabriella quando lo guarda. Un piccolo rammarico per tutta quella scena, vissuta anche se non vera, ma anche un filo teso, resistente che unisce quel giorno a questi. Con l’idea che l’Oro batte forte in mezzo al seno e la storia dice che è giusto.

 

 

Francesco Facchini

Di professione #sharindaddy, racconto storie da 30 anni. Ho un futuro dietro le spalle fatto di un Mondiale e due Olimpiadi, ma anche di esperienze giornalistiche in ogni tipo di medium (oh, è latino, mi raccomando). Amo il calcio, quello vero, ma da quando ho visto la fiamma olimpica non mi sono più riavuto.

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