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Il primo Oro al femminile è della “bambinaia” Erika Lechner

STORIE. Sono trentasette le medaglie d’Oro italiane alle Olimpiadi invernali e Olympialab, seguendo il rintocco del conto alla rovescia verso la Cerimonia di Apertura, vi propone ogni giorno il loro racconto: non pura cronaca ma una lunga storia sul filo dorato di 56 anni di Giochi Olimpici.

 

Il primo Oro al femminile è della “bambinaia” Erika Lechner

Negli anni Cinquanta, Maranza è un paese di qualche centinaio di abitanti all’imbocco della Val Pusteria praticamente isolato, almeno nei mesi invernali, dal resto del mondo. Da una parte lo strapiombo boscoso, che gli vale la definizione di “Terrazza sull’Isarco”, su Rio Val Pusteria, 700 metri più in basso nel fondovalle, raggiungibile solo attraverso un sentiero lastricato alternato a tratti di scale. Dall’altra, alle pendici del Gitschberg, bisogna salire con una mulattiera dai 1400 ai 1800 metri della Malga Kiener per poi scendere verso Vallarga. Qui cresce con i cinque fratelli, Erika Lechner, nata nel 1947. Alle scuole elementari tra le sue compagne di classe un’altra bambina che diventa preso la sua amica, Cristina Pabst. I genitori hanno una bottega e Erika li aiuta; d’inverno ci si sposta con la slitta e la ragazzina usa lo slittino per portare alla nonna che vive in un casolare più in basso quanto gli serve. Nel 1957 viene costruita la funivia tra Rio e Maranza, una porta sul mondo, ma per muoversi sull’altopiano lo slittino continua ad essere necessario. E a sedici anni, Erika inizia a fare le prime gare, prima sui sentieri ghiacciati. Poi sulle piste normali. Nella scoperta del lato agonistico delle discese in slittino è accompagnato da suo fratello Emilio, di sette anni più anziano di lei, e dall’amica Cristina Pabst.

Erika diventa campionessa italiana nel 1966 e nel 1967, anno nel quale ha vinto la Coppa delle Alpi. Non riesce, per problemi di salute, a partecipare ai Campionati Europei ma ai Campionati Mondiali di Hammarstrand si piazza al settimo posto preceduta dalle tedesche orientali Ortrun Enderlein (che bissa il titolo mondiale vinto nel 1965 a Davos) e Petra Tierlich (di nuovo Argento), dall’austriaca Helene Thurner (argento nel 1963 e bronzo nel 1961), dalla bicampionessa del mondo tedesca democratica Ilse Geisler, dalla tedesca occidentale Christa Schmuck e dall’ennesima valchiria orientale Angela Knosel. In Svezia, nella gara maschile, dominata come quella femminile, dai tedeschi dell’Est con l’Oro a Thomas Kohler e l’Argento a Klaus Bonsack è accaduto un fatto inquietante: Horst Hoernlin è bloccato in partenza per la caduta del concorrente che lo precede, quando parte la neve sotto i suoi pattini si è sciolta formando un laghetto. I pattini erano stati riscaldati, probabilmente con una batteria ed una resistenza, pratica vietata dal regolamento che concede vantaggi notevoli aumentando la velocità del mezzo. Il tedesco orientale viene squalificato e quelli che prima erano solo sospetti sullo strapotere della DDR diventano realtà.

Nel febbraio del 1968, Erika, il fratello Emilio e l’amica Cristina Pabst si ritrovano a Villard-de-Lans, 40 chilometri a sud di Grenoble per partecipare alle Olimpiadi invernali. Complici i soli 1000 metri di altitudine, le alte temperature e la pioggia battente lo svolgimento delle prove di slittino previste per le quattro discese individuali l’8 e il 10 febbraio si trasformano in una lenta agonia. All’alba di ogni giorno le squadre si alzano, guardano fuori dalla finestra, e aspettano la decisione della giuria. Non si gareggia il giovedì, il venerdì e il sabato mentre la domenica una gelata notturna permette lo svolgimento delle prime due manche. Nella prima discesa Erika Lechner ferma i cronometri sul tempo di 48”76, due centesimi peggio della campionessa del mondo Ortrun Enderlein ma dodici centesimi meglio dell’altra tedesca orientale Anna Maria Muller. Erika vede l’amica di una vita, Cristina, schiantarsi alla curva 15: la Pabst esce di pista e si frattura un’anca, la cavità femorale, il gomito destro e viene prelevata dall’elicottero dei soccorsi che la porta all’ospedale militare di Grenoble. Nella seconda discesa le valchirie tedesche dell’est sono scatenate: il miglior tempo è della Muller che su una pista più lenta fa segnare 49”26, dietro di lei la Enderlein ed Erika. La prima giornata di gare si chiude con una classifica provvisoria guidata dalla Enderlein che precede di 6 centesimi la connazionale Muller, di 7 l’azzurra, più lontane le altre con la terza tedesca dell’Est Knosel a 69 centesimi e le due tedesche occidentali Schmuck e Dunhaupt a 91 centesimi e a un secondo e 14. Ogni mattina ci si sveglia alle 5, si va alla pista e si capisce che le ultime due discese non si correranno. Appuntamento all’ispezione successiva. Si fa ricorso anche all’azoto liquido per cercare di riparare ai danni delle alte temperature ma invano. Nel frattempo Erika ha salutato l’amica Cristina che viene trasportata a Torino. Nel pomeriggio del lunedì, consultando le previsioni meteo, viene deciso che si proverà a disputare la gara mercoledì di prima mattina.

La giuria va a controllare la pista anche martedì mattina e decide che vi sono le condizioni per gareggiare ma dimentica di avvertire la squadra italiana e quella del Liechtenstein. Fortunatamente Paolo Ambrosi, allenatore delle azzurre, e il dirigente Claudio Battisti sono allerta e riescono a far preparare per tempo Erika. E inizia una giornata degna di una spy story- Finite le discese dei maschi che partono 150 metri più in alto, Ambrosi scende alla casetta della partenza femminile; qui le versioni divergono. Vi è chi dice che il protagonista sia un ragazzino, vi è chi narra di una azione distratta di Ambrosi e chi pensa ad un gesto deliberato: pronti vi sono gli slittini delle concorrenti, una mano scivola sui pattini di un mezzo e li sente caldi. Ambrosi chiame Battisti che preleva quasi di forza il presidente della Commissione Tecnica Isatich, e lo costringe a toccare gli stessi pattini. Il polacco vuole controllare meglio, raccoglie della neve la appoggia al pattino e la vede sciogliere in pochi secondi. Scatta l’allarme, si cerca la “padrona” dello slittino: dopo qualche minuto appare la Muller. Isatich informa il presidente di giuria, il polacco Lucian Świderski che decide che la tedesca non può partire. Battisti pretende che vengano controllati tutti gli slittini: anche quelli delle altre due tedesche orientali hanno i pattini caldi. Il presidente della giuria a questo punto esita, una squalifica di tutta la squadra potrebbe avere effetti devastanti. Il suo è un voltafaccia in piena regola: gli slittini tedeschi possono partire se raffreddano i pattini nella neve. Battisti fa fotografare la scena mentre Ambrosi prende da parte la Lechner e le consiglia di scendere con calma senza prendersi rischi. Erika lo prende in parola e scende in 50”51. Le due tedesche dell’Est sono più veloci di lei e allungano il vantaggio in classifica a più di mezzo secondo ma è una soddisfazione effimera. La giuria le squalifica e la ragazza di Maranza si ritrova in testa alla classifica dopo tre discese con un rassicurante vantaggio di 71 centesimi sulla tedesca occidentale Schmuck e di 90 centesimi sull’altra tedesca dell’ovest Dunhaupt. Il distacco delle altre supera il secondo. Si scatena una lotta di carte bollate e ricorsi dei tedeschi orientali che denunciano un complotto nei loro confronti mentre i giornalisti italiani che devono farsi perdonare il “buco” dell’impresa di Franco Nones si riversano a Villard-de-Lans. La sconosciuta ventunenne altoatesina è travolta, nel suo incerto italiano dice di occuparsi quando non gareggia dei figli del presidente dello Sci Club di Bressanone e per tutti diventa la bambinaia di Maranza. Ma resta ancora da disputare la quarta manche.

La notte di luna piena fa ben sperare ma mercoledì mattina, giorno di San Valentino, il cielo si copre e alle 6 inizia a piovere. La timida Erika fatica a reggere l’improvvisa ondata di popolarità mentre guarda il cielo e attende, i dirigenti cercano di regalarle qualche istante di serenità mentre lei ha un cruccio che la tortura, “Cosa diranno le tedesche sulla mia vittoria? Io lo so diranno che non vale niente perchè loro non c’erano”. C’è tempo fino al sabato per gareggiare ma gli organizzatori vogliono tenere una giornata per il Doppio maschile che deve ancora disputarsi. Il giovedì piove ancora e a Villard-de-Lans arriva anche il presidente del CIO, Avery Brundage. Si svolge una riunione fiume mentre il dirigente Battisti cerca di distrarre la Lechner con una lunga passeggiata. Qui sono raggiunti dalla notizia: come previsto dal regolamento, la giuria ha deciso di assegnare le medaglie sulla base dei risultati delle prime tre discese. Erika è medaglia d’Oro e un sorriso si mischia all’imbarazzo per le prime interviste da campionessa olimpica. Il suo pensiero va alla amica Cristina Pabst, bloccata su di un letto d’ospedale a Torino: “Peccato che si sia infortunata. E’ molto brava. Con lei avremmo ottenuto due medaglie”. Qualche giorno dopo nel lungo viaggio di ritorno in pullmann da Grenoble a Bolzano, si ferma con tutta la squadra a Torino e va a trovare l’amica regalandole le due dozzine di rose ricevute dal Presidente della Repubblica, Saragat. Tutti nelle corsie dell’Ospedale Maria Adelaide vogliono vedere la sua medaglia, tutti vogliono un suo autografo.

 (7. continua)

Contenuto ceduto in esclusiva dall’agenzia alaNEWS. Riproduzione vietata. Anno 2014.

Massimo Brignolo

Manager di una multinazionale, da quasi 50 anni guardo allo sport con gli occhi sognanti dell'eterno ragazzo. Negli ultimi anni, fulminato dall'aria olimpica respirata nella mia Torino, ho narrato lo sport a cinque cerchi, quello che raramente trova spazio nei media tradizionali. Non disdegno divagazioni nel calcio, mettendo da parte l'anima tifosa, che può ancora regalare storie eccezionali da narrare a modo mio.

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