La vicenda di Halep è più complessa rispetto a quella che coinvolge Sinner, tuttavia nelle motivazioni del Tas emerge un chiaro dettaglio che potrebbe far preoccupare anche Jannik
La tennista romena Simona Halep, vincitrice al Roland Garros nel 2018 e a Wimbledon nel 2019, è stata squalificata per nove mesi con l’accusa di “incauto utilizzo di un integratore contaminato“. Ecco perché la sentenza potrebbe, per certi aspetti, preoccupare anche Sinner, dopo il ricorso della Wada sul caso Clostebol.
Halep era stata squalificata quattro anni dall’Itia con le accuse di doping intenzionale, ma è stata poi scagionata e adesso sanzionata invece per “incauto uso di un integratore contaminato”, accusa che potrebbe essere simile a quella rivolta a Sinner. La rumena avrebbe assunto il prodotto sotto consiglio della fisioterapista personale “che non è un medico o un clinico”, specifica il Tas di Losanna, che ha pubblicato lunedì 14 ottobre le motivazioni della squalifica di nove mesi di Simona Halep. “Nell’utilizzare il prodotto che le ha procurato positività all’antidoping, si è affidata completamente alla sua fisioterapista personale, che non è un medico o un clinico”, si legge nel documento. “La questione che questo Panel del Tas si pone è come mai in un ambiente di così elevata professionalità questioni legate a possibili problemi con l’antidoping siano affidate a persone che non abbiano esperienza in questo settore”, continua.
La vicenda di Halep è più complessa rispetto a quella che coinvolge Sinner, tuttavia nelle motivazioni del Tas emerge un chiaro dettaglio che potrebbe far preoccupare anche Jannik. Il Tribunale Arbitrale dello Sport sottolinea quanto sia grave che un atleta ai vertici del ranking mondiale si affidi, per l’utilizzo di prodotti a rischio di positività, a persone che non hanno competenze mediche, come fisioterapisti o allenatori.
“L’atleta che stiamo giudicando oggi non è una semplice giocatrice di tennis professionista: ha grandissima esperienza, è ai vertici del ranking mondiale da tempo e ha vinto due slam”. “L’atleta avrebbe dovuto capire i limiti delle qualifiche della sua fisioterapista e il fatto che si stesse giocando un torneo negli Stati Uniti, in un continente lontano dal suo, non può giustificare la mancata consultazione di uno specialista e l’affidamento di un compito così delicato a una persona senza le necessarie competenze mediche” si legge nelle motivazioni della sentenza emessa dagli arbitri svizzeri.
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