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Una cultura dello sport deviata

TORINO. Un fatto e una osservazione per dare la misura della china che in questo Paese ha preso la cultura dello sport. Iniziamo dalla seconda: si gira per gruppi e pagine Facebook e si scopre che il più autorevole gruppo dove si discute in modo serio di antidoping conta 868 membri mentre la pagina Giù le mani dal Tour di Pantani, nata il 2 luglio, ha, al momento, già 6300 e passa seguaci. Peraltro la TV di Stato tra pillole e memorie continua a passare filmati di trionfi del passato senza un minimo di commento per contestualizzarli (e non parliamo solo di ciclismo) a fronte di quanto emerso negli anni successivi. Abbiamo bisogno di eroi, non importa se dai piedi d’argilla – basta non inquadrarli -, e tanto basta.

In questi giorni un personaggio è di nuovo al centro delle cronache sportivo-giudiziarie, e sì perchè in questo paese la lotta al doping non è condotta dal mondo sportivo o dalla stampa (se non in pochi casi) ma dall’autorità giudiziaria, dai NAS e dalla Guardia di Finanza. Parliamo del professor Conconi che in passato è stato riconosciuto dal Tribunale di Ferrara, seppure per reati caduti in prescrizione,  responsabile di aver agevolato il doping di molti tra i più grandi campioni dello sport italiano per diversi anni. Lo stesso Conconi negli anni a venire ha “rischiato” di diventare il sottosegretario della Salute del governo Prodi e ancora pochi mesi fa è apparso come il referente di un progetto dell’Università di Ferrara che ha ricevuto uno stanziamento di 100.000 euro dal Ministero degli Affari Regionali, il Turismo e lo Sport. Lo stesso Ministero, è qui passiamo al fatto, che, diverso il responsabile, ha nei giorni scorsi deciso un taglio di più di 700.000 euro ai fondi destinati al Comitato Paralimpico che già avevano subito una riduzione del 25% tra il 2012 e il 2013. Che il premier Letta si giustifichi, annunciando il suo interessamento, parlando di effetto automatico aggiunge forse materia per pensare più che ridimensionare l’accadimento.

Un dato di fatto è incontrovertibile: la cultura dello sport in questo paese è deviata, premia il successo a qualsiasi costo e trasmette questo messaggio a chi osserva e, giustamente, si appassiona. Si contano solo le medaglie al petto, emblematici i toni trionfalistici dopo i Giochi del Mediterraneo di Mersin, e nulla altro. Le strutture di base stanno cadendo a pezzi, avremo modo di occuparcene su Olympialab, e non si valutano le ricadute reali di alcune azioni (è provato a livello globale che gli investimenti nello sport paralimpico generano una diminuzione dei costi sociali della disabilità). Povero il Paese che ha una cultura dello sport deviata.

 

Massimo Brignolo

Manager di una multinazionale, da quasi 50 anni guardo allo sport con gli occhi sognanti dell'eterno ragazzo. Negli ultimi anni, fulminato dall'aria olimpica respirata nella mia Torino, ho narrato lo sport a cinque cerchi, quello che raramente trova spazio nei media tradizionali. Non disdegno divagazioni nel calcio, mettendo da parte l'anima tifosa, che può ancora regalare storie eccezionali da narrare a modo mio.

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