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Atletica e baby talenti:   normale che si perdano

Un sedicenne Usain Bolt ai Mondiali Junior 2002

INCHIESTE. Si parla spesso, quando si guarda all’atletica italiana, di talenti sprecati; è avvenuto con una certa superficialità anche nelle ultime settimane consultando qualche almanacco e qualche classifica di campionati giovanili e manifestazioni maggiori. Uno studio della Indiana University presentato circa un mese fa illustra, invece, come sia un dato generale quello che non fa corrispondere ai successi nelle categorie giovanili uguali successi ai massimi livelli e il tutto dipenderebbe dalla tremenda selezione che a livello giovanile è operata dal personalissimo livello di maturazione fisica che, invece, a livello maggiore non crea più disparità.

Lo studio, predisposto da Joshua Foss, ha preso in esame i 64 finalisti ai Campionati Mondiali Junior del 2000 in otto discipline (100, 200, 1500 e 5000 metri, salto in lungo e in alto, lancio del disco e getto del peso).  Di questi 64 atleti ha valutato i risultati realizzati nei 12 anni successivi. Analogamente sono stati considerati i finalisti delle Olimpiadi di Sydney guardando indietro ai 12 anni precedenti della loro carriera. Ne sono emersi alcuni dati interessanti: solo poco più del 23% dei finalisti dei Mondiali Junior sono andati a medaglia alle Olimpiadi nella loro carriera e, a confermare la tesi, solo il 30% dei finalisti di Sydney ha vinto una medaglia ai Campionati Mondiali Junior. E a rafforzare la motivazione dei differenti tempi di maturazione in ben sei delle otto gare coloro che sono baciati dal successo di una finale olimpica hanno mostrato miglioramenti nelle loro prestazioni rispetto ai risultati da junior ben superiori di quelloi fatti registrare nella loro carriera da quanti hanno avuto risultati di eccellenza nella categoria giovanile.

A questo punto diventa decisamente più difficile parlare di talenti sprecati sulla sola base dei risultati da junior e un serio approccio alla situazione del nostro paese dovrebbe partire, innanzitutto, dal verificare se analogo esercizio evidenzi differenze statisticamente rilevanti rispetto a quanto emerso dallo studio della Indiana University.

 

 

Massimo Brignolo

Manager di una multinazionale, da quasi 50 anni guardo allo sport con gli occhi sognanti dell'eterno ragazzo. Negli ultimi anni, fulminato dall'aria olimpica respirata nella mia Torino, ho narrato lo sport a cinque cerchi, quello che raramente trova spazio nei media tradizionali. Non disdegno divagazioni nel calcio, mettendo da parte l'anima tifosa, che può ancora regalare storie eccezionali da narrare a modo mio.

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