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Biathlon: che cosa pensano gli atleti al poligono

SOCHI 2014. Dopo l’Individuale di ieri, è stato sufficientemente spiegata la sindrome russa che sembra colpire Lukas Hofer nel quinto bersaglio dell’ultimo poligono delle prove di Biathlon. Il tema delle problematiche legate al tiro in una disciplina come il Biathlon merita un approfondimento e viene in aiuto, dalla Francia dove la cultura della disciplina è encomiabile … e anche i risultati da anni parlano. un articolo apparso su Le Nouvel Observateur con i contributi dell’allenatore del tiro dei biathleti transalpini, Siegfried Mazet, e di due campioni come Alexis Boeuf e Marie Dorin.

 

Lo spirito

“L’importante è affrontare il tiro come un gioco e non come un castigo”, spiega Marie Dorin, “tecnicamente centrare il bersaglio non è difficile” anche se si tratta di un bersaglio a 50 metri di 4,5 centimetri nei tiri a terra e di 11,5 centimetri nei tiri in piedi. Bisogna affrontarlo nel modo più naturale possibile, “quando lo vedo come un dovere”, continua la Dorin, “non funziona più”. E Martin Fourcade, non a caso doppio Oro per ora a Sochi, è un giocatore: mette la pressione sugli avversari, quando arriva al poligono sfida tutti, cerca di andare nella prima piazzola a dire “voglio vincere, mi sento bene” e li sfida sulla velocità del primo tiro mettendo tutti sotto pressione.

 

L’avvicinamento al poligono

L’obiettivo è di scendere da 190 a 150 pulsazioni in una ventina di secondi e compiere uno switch mentale, risvegliando i sensi. Come dice Alexis Boeuf, “sugli sci si è all’attacco, uno sforzo violento nel quale si pensa il meno possibile. Il tiro è l’opposto: bisogna essere rilassati ma concentrati. A seconda degli stadi si prende un punto di riferimento, si decide che quando si passa da quel punto bisogna passare in modalità di tiro”. A Sochi è la cima della piccola salita prima della discesa verso il poligono. Il cambiamento di stato psicologico comporta un cambio di ritmo: i biathleti spingono meno sui bastoni per fare abbassare le loro pulsazioni stando attenti però a non perdere troppo tempo. Tra la fase di rallentamento, l’estrazione della carabina, il posizionamento sulla piazzola, i biathleti hanno una ventina di secondi per scendere da 180-190 pulsazioni alle 150 del primo tiro per arrivare intorno alle 110-120 all’ultimo tiro. Il primo tiro è preceduto da una fase importante: gli atleti respirano una decina di volte e poi partono con una sequenza il più meccanica possibile.

 

 

 

Il tiro

“In apnea e un respiro tra un tiro e l’altro. Il tiro è iper-cadenzato”, spiega Mazet. E’ per questo che è importante fare scendere le pulsazioni, lavorando in apnea il rischio è quello di andare in debito di ossigeno. Dal momento nel quale ha terminato l’espirazione, il biathleta ha un secondo, un secondo e mezzo per sparare. Si mette il dito sul grilletto e lo si tira fino al punto di resistenza, a quel punto la pressione deve essere minima per far partire il colpo. “Il colpo parte da solo, non si pensa a quella. Bisogna lasciarsi sorprendere, non aspettarselo”. Alexis Boeuf racconta “Non si ha mai il centro fermo nel mirino, continua a muoversi. Io blocco la respirazione, parto dall’alto e l’obiettivo è di trovare la sincronia tra il mio rilascio e il passaggio del bersaglio nel mirino”.

 

Gli errori

“Spesso si sbaglia senza sapere il perchè”. Gli errori non sono normalmente un problema di tecnica ma di rilassamento. La testa va più veloce del gesto e spesso i biathleti rischiano di  non guardare più il bersaglio prima di aver rilasciato. “Eri a posto mezzo secondo prima”, spiega Mazet, “ma nel momento più importante, il rilascio del tiro, ti sei un po’ rilassato perchè la tua testa ti ha detto che sei a posto”. Un’altra ragione dietro all’errori sono i pensieri laterali: un grido tra il pubblico, l’arrivo di un avversario che distrae per una frazione di secondo. Marie Dorin confessa di essere disturbata dall’importanza del suo tiro, “non devo pensare alle conseguenze del mio tiro. Se mi metto a pensare se faccio 5 su 5 mi piazzo bene o a misurare la differenza tra un centro e un giro di penalità sono finita”. E’ questa la ragione per cui il bersaglio che provoca più errori è il quinto della serie; la sua importanza ma anche il fatto che un avversario parte e mette pressione o la testa che è già passata nella modalità sci di fondo.

 

 

 

Massimo Brignolo

Manager di una multinazionale, da quasi 50 anni guardo allo sport con gli occhi sognanti dell'eterno ragazzo. Negli ultimi anni, fulminato dall'aria olimpica respirata nella mia Torino, ho narrato lo sport a cinque cerchi, quello che raramente trova spazio nei media tradizionali. Non disdegno divagazioni nel calcio, mettendo da parte l'anima tifosa, che può ancora regalare storie eccezionali da narrare a modo mio.

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