MILANO. Vedo le gare dei mondiali, vedo le unghie multicolore, vedo i baci, magari (spero per loro) con la lingua. E penso… che sono gay. E barbone e povero e negro e parja e strano e terrone e tutto quello che è diverso. In questa epoca in cui tutto deve apparire e niente essere, ci tocca anche la terribile disgrazia di vedere che ai mondiali di atletica leggera, in corso di svolgimento a Mosca, gli atleti, uomini che faticano e vivono davvero dentro i loro sogni e sulle loro piste, parlano, si alzano e protestano, in questo caso contro una legge liberticida, contro la famosa legge anti gay. Sì, poi c’è anche Yelena Isinbayeva, donna vicina al potere, che combina quello che ha combinato mettendosi vicino a Putin e poi ritrattando, ma il resto della truppa degli atleti è viva e protesta. Quello che mi fa incazzare, però, è ben altro: già, perché non mi pare di aver sentito, a differenza di quanto successo con gli atleti, alcun forte grido di protesta delle Federazioni nazionali, della Federazione internazionale o, quanto meno, una netta presa di posizione dello sport contro questa merda. Sì, qualcosina ci sarà, ma di ben diverso tenore doveva essere la protesta ufficiale, una protesta che non lasciasse soli gli atleti e le atlete che si dipingono le unghie dei colori dell’arcobaleno. E invece no, tutti i dignitari ben piegati a novanta gradi (e ben stipendiati) si sono distinti per ipocrisia. Zitti e… Mosca. Allora sono gay, ma anche molto, molto incazzato.
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