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La favola amara dello Short Track azzurro

STORIE. Sono trentasette le medaglie d’Oro italiane alle Olimpiadi invernali e Olympialab, seguendo il rintocco del conto alla rovescia verso la Cerimonia di Apertura, vi propone ogni giorno il loro racconto: non pura cronaca ma una lunga storia sul filo dorato di 56 anni di Giochi Olimpici

 

La favola amara dello Short Track azzurro

A cavallo tra gli anni Settanta e Ottanta si diffonde una nuova disciplina del ghiaccio che per molto, troppo tempo, viene paragonata al Rollerball, gioco di finzione immortalato nel 1975 da Norma Jewison in un film cult. Si tratta dello Short Track, pattinaggio di velocità in pista corta, che ha dalla sua un grande atout, la possibilità di essere praticata in un qualsiasi palazzetto del ghiaccio senza richiedere impianti all’aperto di grandi dimensioni come il tradizionale pattinaggio di velocità. Ne consegue che prende piede nelle città: in Italia si sviluppa a Milano, dove nel 1980 si svolgono i primi Campionati Mondiali, Torino e Aosta. Quando nel 1988, lo Short Track viene introdotto come sport dimostrativo alle Olimpiadi di Calgary il movimento italiano gravita intorno a Torino dove opera Impero Romano Littorio Peretti, detto Peio, che ha prima raccolto atleti in famiglia, la figlia Marzia è campionesso nella Velocità su pista lunga, e poi in quanti hanno iniziato a nutrire interesse verso la specialità. Vi è Orazio Fagone, diciannovenne arrivato al Nord dalla Sicilia che passando dai pattini a rotelle si è presto innamorato dello Short Track entrando due anni prima in Nazionale e conquistando il titolo nazionale nel 1986 e 1987; Hugo Herrnhof, ventitreenne di Bormio, si è trasferito per lavoro nella capitale sabauda mentre la ventenne Maria Rosa Candido fa la spola tra Auronzo e il Piemonte. La squadra è completata da Roberto ed Enrico Peretti, nipoti di “Peio” e dalle torinesi Cristina Sciolla, futura signora Herrnhof, Barbara Mussio e Gabriella Monteduro.

Lo Short Track ritorna dalle Olimpiadi canadesi con grandi soddisfazioni: Orazio Fagone è terzo nella finale dei 1500 metri, Maria Rosa Candido terza nei 3000 metri e nella staffetta femminile con le compagne conquista la vittoria: una grande iniezione di fiducia verso il vero debutto olimpico ad Albertville nel 1992. Nei quattro anni verso i Giochi francesi inizia a brillare anche le stella del valdostano Mirko Vuillermin, classe 1973. Nel 1990 ai Campionati Mondiali di Amsterdam, Herrnhof conquista la medaglia d’Argento nei 500 metri e il Bronzo sui 3000 mentre nei 500 metri salgono sul gradino più basso del podio anche Cristina Sciolla e Orazio Fagone. L’anno dopo arrivano i Bronzi mondiali di Maria Rosa Candido nei 500 metri e di Hugo Herrnhof nei 1500. Nell’ultima gara prima delle Olimpiadi di Albertville, Herrnhof sigla il record mondiale nella gara veloce. Le attese per la prima vera Olimpiade sono altissime in casa azzurra ma la medaglia non arriva. Nel ridotto programma della prima apparizione ai Giochi – 1000 metri maschili, 500 metri femminili e le due staffette – il miglior risultato è il settimo posto della staffetta femminile dove fa la sua apparizione una giovanissima Marinella Canclini. La staffetta maschile è ottava, Herrnhof viene eliminato per due centesimi nei quarti di finale.

Un mese dopo, ai Campionati Mondiali a squadre, gli azzurri si prendono la rivincita con il secondo posto di Hugo Herrnhof, Mirko Vuillermin, Orazio Fagone e Diego Cattani. Nella stagione successiva, quella di transizione tra Albertville e Lillehammer le due squadre conquistano il titolo mondiale: la formazione maschile è la stessa dell’anno precedente, quella femminile è formata da Maria Ros Candido, Marinella Canclini, Katia Colturi e Mara Urbani. La vittoria vale la qualificazione anticipata per le Olimpiadi del 1994. Qualche settimana più tardi ai Mondiali individuali, Mirko Vuillermin vince i 500 metri con tanto di record del mondo e guida la staffetta alla medaglia d’Argento.

Mentre tutti giù guardano alle Olimpiadi, il 18 ottobre 1993, il fato mena il primo fendente contro l’allegra brigata dello Short Track: Maria Rosa Candido e la giovane Lori Vecelio perdono la vita sotto un tronco d’ albero caduto da un camion. Quattro mesi dopo, la squadra azzurra è attesa con rinnovate ambizioni all’esame olimpico: i fari sono puntati su Mirko Vuillermin, che è dato come vincitore anche da USA Today e da Sports Illustrated, e sulle due staffette. Le gare si svolgono nell’anfiteatro olimpico di Hamar che nella fase di preparazione è completamente monopolizzata dagli specialisti del Pattinaggio Artistico. Gli specialisti dello Short Track possono solo allenarsi in un impianto adiacente e manca la confidenza con il teatro di gara e con il suo ghiaccio. A complicare le cose vi è anche il fatto che chi partecipa ai 500 metri è obbligato, a meno di infortuni, a partecipare anche ai 1000 così il valdostano non può concentrarsi sulla specialità a lui più congeniale. I Giochi non iniziano bene: la Staffetta Femminile esce in semifinale e conquista la prima posizione mentre in finale vince la Corea precedendo la Cina, il Canada e gli Stati Uniti. Poco prima della premiazione la Cina viene squalificate e alle azzurre resta il rammarico di aver ottenuto un tempo migliore delle americane premiate con il Bronzo. Nei 1000 metri, Vuillermin esce in batteria e Orazio Fagone è squalificato nei quarti di finale per aver deviato dalla sua linea di corsa. Sabato 26 febbraio si conclude, finalmente, il lungo corteggiamento alla medaglia olimpica non prima di aver provato un misto di gioia e amarezza. Nei 500 metri, Vuillermin domina batterie, quarti e semifinali. Nella finale partito come suo solito all’attacco, comanda i primi quattro giri con un netto vantaggio sui rivali ma all’ultima curva il coreano Ji Hoon Chae lo affianca all’esterno, Mirko perde un tempo e viene battuto di mezzo pattino. Per lui l’Argento che non lo soddisfa a pieno ma non ha tempo per recriminare, neanche un’ora dopo deve scendere in pista per la finale della Staffetta.

Con lui Orazio Fagone, Hugo Herrnhof e il non ancora diciannovenne torinese Maurizio Carnino che non più tardi dell’anno precedente ha esordito in Coppa Europa e che un mese prima non pensava neanche di partecipare alle Olimpiadi. Gli avversari sono Stati Uniti, Australia e Canada. La partenza non fa presagire nulla di buono, gli azzurri stazionano a lungo in ottima posizione ma a metà gara c’è il primo colpo di scena. Il Canada si autoelimina per una caduta, la medaglia pare assicurata ma i quattro cavalieri italiani hanno atteso questa occasione da anni e devono fare una dedica speciale. A 8 giri dalla conclusione, Vuillermin conquista la prima posizione e lancia Carnino, il vantaggio si allarga fino al trionfo finale che viene affidato all’arrivo del veterano Herrnhof. Un valdostano, un torinese, un valtellinese e un siciliano sono le prime medaglie d’Oro italiane nello Short Track e di tutto lo sport del ghiaccio italiano ma il pensiero va subito a Maria Rosa Candido e Lori Vecelio. E’ una squadra che gira il mondo mangiando panini dove Orazio Fagone è disoccupato dopo aver lasciato il lavoro in estate per puntare alle Olimpiadi, Mirko Vuillermin, tra i migliori al mondo, con il premio olimpico spera di finire il tetto della casa ad Aosta, Herrnhof tornerà a fare il poliziotto a Caselle e Carnino riprenderà gli studi.

Sembra la degna conclusione di una bella favola ma nel giro di qualche anno ritorna il fato crudele. Il 29 maggio del 1997, Orazio Fagone ha un devastante incidente in moto, dietro una curva trova un camion, non vi sono vie di fuga prova a lasciarsi cadere per passare sotto. Le ruote del camion gli spappolano le gambe, ne esce dopo mesi di ospedale con una gamba amputata e l’altra totalmente rigida. Quindici giorni dopo, Mirko Vuillermin con la sua moto urta ad alta velocità il paraurti di un camion, ancora un camion, in manovra. Quattro fratture esposte alla gamba destra. I pattini appesi al chiodo. Pensavano a Nagano 1998, la loro vita è cambiata in una frazione di secondo.

Massimo Brignolo

Manager di una multinazionale, da quasi 50 anni guardo allo sport con gli occhi sognanti dell'eterno ragazzo. Negli ultimi anni, fulminato dall'aria olimpica respirata nella mia Torino, ho narrato lo sport a cinque cerchi, quello che raramente trova spazio nei media tradizionali. Non disdegno divagazioni nel calcio, mettendo da parte l'anima tifosa, che può ancora regalare storie eccezionali da narrare a modo mio.

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