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L’Oro dimenticato di Josef Polig

STORIE. Sono trentasette le medaglie d’Oro italiane alle Olimpiadi invernali e Olympialab, seguendo il rintocco del conto alla rovescia verso la Cerimonia di Apertura, vi propone ogni giorno il loro racconto: non pura cronaca ma una lunga storia sul filo dorato di 56 anni di Giochi Olimpici.

 

L’Oro dimenticato di Josef Polig

La bomba (notare in questo caso la voluta minuscola) Tomba ebbe effetti deflagranti sullo sci italiano: una attenzione mai vista, la passione di milioni di italiani che magari non avevano mai messo gli sci ai piedi, una copertura mediatica da record ma anche effetti collaterali devastanti sullo stesso movimento. Le imprese del bolognese, come una sorta di buco nero, assorbivano tutto: protagonista non era lo sci azzurro ma Alberto Tomba. A sopravvivere a questo lento annichilimento furono veramente pochi, forse solo l’epigono al femminile del campione, una ragazza (ne parleremo tra pochi capitoli) che avrebbe dovuto e potuto essere il contraltare in gonnella se la fortuna non le si fosse messa di traverso. In pochi, soprattutto tra gli addetti ai lavori, ebbero il coraggio di ammette questo lato della medaglia. Uno di quelli che lo fecero, uno di quelli che forse pagò di più dal punto di vista personale la gigantesca ombra di Tomba fu Josef Polig. Nove anni dopo il suo Oro olimpico, perché Josef è campione olimpico, e sei anni dopo il suo ritiro l’altoatesino, in una intervista dichiarò chiaramente “Lo sci italiano ha solo su un uomo, Tomba. E ora che Alberto ha smesso, ecco i risultati: non c’ è più una squadra. Ancora non digerisco il fatto che ai tempi importava più una uscita di pista di Tomba che il buon piazzamento di un altro. Io ho smesso anche per questo motivo”. Il suo è forse l’Oro più dimenticato e meno apprezzato, lo si ricorda solo ogni quattro anni leggendo i medaglieri. Ne è complice anche il fatto che la Combinata dello Sci Alpino un tempo richiedeva calcoli da ingegneri, tempi trasformati secondo complesse formule che rendevano quasi impossibile capire al telespettatore – non vi erano i sistemi informatici di oggi – l’andamento della gara. E, soprattutto, il brutto vizio tutto italico di pesare eventi, formati di gara e regolamenti con gli occhiali rivestiti di azzurro. Negli anni Settanta, la Combinata veniva presentata come la summa della maestria sciistica; la ragione? Avevamo un certo Gustavo Thoeni che vinse due titoli mondiali, quattro prove di Coppa del Mondo con due secondi posti e due terzi posti. Venti anni dopo improvvisamente diventò per noi italiani prova minore, anacronistica, priva di ogni contenuto tecnico. D’altronde, Alberto Tomba aveva deciso di non disputare la Discesa e quindi partecipare alle Combinate, perché mai avrebbe dovuto interessarci?

In questo scenario si consuma e si scioglie come neve al sole la gloria olimpica che Josef Polig conquista ad Albertville martedì 11 febbraio 1992. Nato a Vipiteno il 9 novembre 1968, l’altoatesino non è un fuoriclasse ma arriva all’appuntamento olimpico del 1992 da buon frequentatore del Circo Bianco, presto destinato dai tecnici ad una forzata polivalenza. Nei suoi quattro anni di presenza in Coppa del Mondo ha chiuso per quattro volte nei primi dieci in Combinata, miglior risultato il quinto posto qualche settimana prima a Kitzbuhel, è arrivato nono ai Campionati Mondiali di Vail, in Slalom è stato settimo nel 1990 a Madonna di Campiglio, ottavo nel SuperG di Garmisch un anno dopo. In un periodo nel quale non è ancora sbarcata sulla Terra, non solo sciistica, la specializzazione ossessiva, i favoriti sono altri, i grandi polivalenti del momento a partire dal lussemburghese Marc Girardelli, uno che fa parte della ristretta elitè di quelli che sono stati capaci di vincere gare di Coppa del Mondo in tutte le discipline. C’è lo svizzero Paul Accola nel suo unico anno d’oro nel quale ha vinto le Combinate di Garmisch, Wengen e Kitzbuhel; ci sono l’austriaco Gunther Mader e il norvegese Furuseth. Difficile pensare a puntare ad una medaglia.

La gara si trasforma ben presto in una gara ad eliminazione sin dalla Discesa Libera che viene più volte rinviata nel corso della giornata per problemi di visibilità fino alla partenza intorno alle tre del pomeriggio. Pronti, via e Girardelli è fuori, caduto. Stessa sorte, nello stesso punto, tocca a Gunther Mader. Il miglior tempo è del norvegese Thorsen che distacca di 76 centesimi Paul Accola, reduce da una caduta in allenamento. L’austriaco Strolz è staccato di 1”65. Il distacco di Furuseth è abissale, 3”97. Nel secondo gruppo scendono Gianfranco Martin, pettorale numero 21, e Josef Polig con il 29. Martin è ottimo secondo a 51 centesimi da Thorsen che però non ha speranze in Slalom, l’altoatesino sesto a 81. Terzo è un altro italiano, praticamente discesista puro, Franco Colturi. Possono puntare al bersaglio grosso il francese Jean-Luc Cretier (a 1”28) e lo svizzero Steve Locher (1”56). I maghi contabili trasformano i tempi in punti e in distacchi per lo Slalom: un decimo di ritardo in Discesa equivale a poco meno di sei centesimi da recuperare nelle due manche di Slalom.

Si va a dormire con la previsione del telecronista di TeleMontecarlo Bruno Gattai: “Con tutte queste uscite i due italiani hanno possibilità anzi probabilità di medaglia”. E’martedi, il tempo ha messo giudizio e le due manche di Slalom si svolgono regolarmente anche se la pista è preparata non in modo adeguato. Si elimina anche Paul Accola che nella prima manche sbatte contro un porta. Il migliore nella prima discesa è Hubert Strolz, quattro anni prima Oro proprio in Combinata a Calgary. Polig e Martin non scendono benissimo. A voler far di conto, Martin è secondo nella classifica complessiva di Discesa e prima manche di Slalom molto vicino all’austriaco. Polig è quinto con un ritardo di 1”64 sul compagno di squadra.

La Stampa – 12 febbraio 1992

 

La seconda manchè è meno angolata della prima. Polig scende bene, ferma i cronometri su 50.89 solo Furuseth ormai tagliato fuori dalle medaglie farà meglio di lui. Lo svizzero Locher incassa un ritardo di 65 centesimi e viene scavalcato dall’azzurro che ha le mani su una medaglia. Capisce di essere vicino all’impresa quando Gianfranco Martin ferma i cronometri su 52.60, è dietro. Secondo per l’inezia di 7 centesimi. All’appello manca solo Strolz. E’ in vantaggio ma esce alla quart’ultima porta. Gli azzurri, primo e secondo, prima faticano a crederci poi si abbracciano mentre Polig ripete “non ci credo, non posso crederci”. Josef non è uno sprovveduto e sente l’aria che tira, in sala stampa attacca “Primo, questa è una medaglia olimpica, e basta già dire così. Secondo, questa è la vittoria in una combinata disputata da tutti per vincere l’Olimpiade non per fare punti in Coppa del Mondo: dunque è cosa speciale, unica ogni quattro anni, e bellissima” ma sembra anche parlare a sé stesso, “Vero che non ho mai vinto niente prima, ma la Combinata è proprio fatta per premiare la regolarità, non l’eccellenza qui e il disastro là. Ho vinto una gara che proprio Accola e Girardelli erano decisi a vincere ad ogni costo”. Il tempo della premiazione e per Josef e Gianfranco la ricreazione è finita. Cinque giorni dopo tocca a Deborah Compagnoni, sei a Alberto Tomba. Dal giorno successivo tutte le attenzioni ritornano ad essere solo per loro.

(15. continua)

Contenuto ceduto in esclusiva dall’agenzia alaNEWS. Riproduzione vietata. Anno 2014.

Massimo Brignolo

Manager di una multinazionale, da quasi 50 anni guardo allo sport con gli occhi sognanti dell'eterno ragazzo. Negli ultimi anni, fulminato dall'aria olimpica respirata nella mia Torino, ho narrato lo sport a cinque cerchi, quello che raramente trova spazio nei media tradizionali. Non disdegno divagazioni nel calcio, mettendo da parte l'anima tifosa, che può ancora regalare storie eccezionali da narrare a modo mio.

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