Il finale è descritto nelle cronache dell’epoca (La Stampa, 27 agosto 1986): “A due giri dall’arrivo si è avuto il senso di come si concludeva la gara: attacco deciso di Salvatore Antibo, Cova che lo segue e nella sua scia Mei con il portoghese Castro. Per gli altri la gara è finita in quel momento. Poi la campana, l’attacco di Mei e la risposta di Cova, ancora un paio di ritmo e la resa, a 50 metri dal traguardo del pluricampione comasco al più giovane avversario”. E poi le gelide strette di mano, l’ambiente era rotto e un paio di giorni dopo l’allenatore di Mei, Leporati, disse come stavano le cose molto chiaramente ad Emanuela Audisio ma per molto, troppo tempo, nessuno diede peso a quelle parole. “Ognuno l’ atletica la vede a suo modo e io non ho mai nascosto di vederla in maniera differente da chi segue a livello tecnico Cova e Antibo. Per questo dico che hanno vinto in tre e non l’ Italia. La prova? Eccola: io con gli altri due allenatori non parlo, sì insomma nessuno di noi si scambia notizie, programmi, informazioni. Lavoriamo per scelta gli uni all’ insaputa degli altri. Tra l’altro a Rondelli e Polizzi che seguono Cova e Antibo non avrei proprio nulla da dire, non devo essere il solo, anche loro evidentemente la pensano come me. Va bene, allora siamo chiari fino in fondo: Mei è uno pulito, uno che ha avuto ed ha dei mezzi fisici eccezionali, io gliel’ho detto subito: tu puoi arrivare in alto con le tue gambe, e sì anche un po’ con la tua testa, ma non hai bisogno di nessun altro tipo di aiuto. E Mei mi ha dato ascolto. Ma ad un certo punto prima delle Olimpiadi di Los Angeles ci siamo trovati entrambi in difficoltà per questa nostra posizione. Ho ricevuto pressioni, forti pressioni, per sottoporre Mei a certe pratiche strane, pratiche che molti consideravano all’epoca vincenti. E il nostro no a quei sistemi, a quel tipo di aiuto farmacologico, è stato così chiaro e così forte che per ripicca qualcuno ha cercato di escludere Mei dalle Olimpiadi e ci stava quasi riuscendo. Un atto veramente assurdo”.
E oggi più che mai c’è bisogno di ricordare il successo di un ragazzo, uomo ora, che per integrità morale deve essere il modello per generazioni di giovani sportivi.
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