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Zoeggeler e il terzo gradino della storia: l’Oro di Salt Lake

STORIE. Sono trentasette le medaglie d’Oro italiane alle Olimpiadi invernali e Olympialab, seguendo il rintocco del conto alla rovescia verso la Cerimonia di Apertura, vi propone ogni giorno il loro racconto: non pura cronaca ma una lunga storia sul filo dorato di 56 anni di Giochi Olimpici.

 

Zoeggeler e il terzo gradino della storia: l’Oro di Salt Lake

In una notte come questa è un disastro cercare di dormire. Il problema? Le gambe. Vanno da sole, come percorse dall’elettricitá di una scossa, di un shock. Si muovono, vibrano, si flettono, si contraggono rifacendo le curve della pista. E curve, e rettilinei, e il cuore che pompa più forte e non molla fino a quando il cervello non ha passato il traguardo. Tutto dentro il letto, una sorta di epilessia, di viaggio, di sforzo da fermo. D’altronde è un po’ che Armin ci pensa, esattamente dal 1994, da quando è salito sul primo gradino della gloria e aveva solo 20 anni, un età in cui la peluria in faccia forse è ancora matta, ma per vincere un bronzo alle Olimpiadi ci vogliono ben altri peli (sullo stomaco). Il secondo gradino a Nagano (argento) era stato portato da minor tensione, ma la timeline del tempo che porta fino a questa notte ha compresso e ribaltato tutto e lo ha shakerato in un susseguirsi di immagini che non smette di offendere la retina a occhi aperti. Già, perché ora di gradino ne resta uno e Armin Zoeggeler da Foiana, 28 anni in quel momento, atleta fatto e finito, deve diventare l’uomo che fila meglio dentro ai budelli. La città del Lago salato, teatro dell’Olimpiade 2002, è il proscenio sul quale Armin l’uomo slittante deve diventare d’oro: un pensiero che batte, come un martello. Ecco perché le gambe ballano da sole, tremano, fanno e rifanno le curve di quella pista, maledetta satanassa con quella curva che arriva troppo presto per il fisico possente che l’altoatesino si ritrova. Comincia a fare giorno quando Armin muove anche le mani nell’aria: unite, davanti a puntare il soffitto e a fare, rifare, rifare, rifare. Poi vince Morfeo, qualche ora, non tanto…

E viene giorno, il giorno, quel giorno in cui il favorito è una specie di lama d’acciaio che ha spappolato lastre di ghiaccio da tempo immemore, non certo lui. Il favorito è uno che ha detto oro, oro, oro nelle ultime tre Olimpiadi fredde. Si chiama Georg Hackl e non suda per la paura nemmanco con una pistola puntata alla tempia. Eppure… Eppure Armin c’è e mentre le lancette corrono verso il momento in cui si sparerà per la prima di quattro volte sulla pista di Salt Lake City comincia a fermarsi l’emozione, a rallentare lo scorrere delle ore, dei minuti, scanditi dalle cerimonie di preparazione che si susseguono l’una dopo l’altra. Non è stanco, Armin, è lucido, fa tutto ciò che deve dare, spesso con la sua tecno nelle orecchie, si isola dal mondo diventa bradicardico per non lasciar scappare l’emozione. Il momento è arrivato, quello che dalla cronaca ti fa passare alla storia. Ruotano attorno a lui Andreatta e i membri del team che lo guardano e cercano di stare in silenzio. Qualche risata isterica scappa, nei trasferimenti, guardando fuori dai finestrini, all’arrivo nell’impianto. Hackl è la storia, lui ancora la cronaca. Deve fare il salto, per la Nina che ha un anno, per Monica che lo vede ben poco (tra viaggi e velocità…) dall’altra parte e lo fa. Si spara giù dalla prima prova e impone la sua legge sia ad Hackl che ha Prock: 15 curve, di cui una subito (lo indispone parecchio), 1335 metri divorati a 140 l’ora, il tempone che stacca nella migliore manche è 44″276, ma alla fine il tabellone dirà che Armin Zoeggeler, uno che crede in se stesso, diventa Campione Olimpico di slittino a Salt Lake, secondo oro di quella Olimpiade dopo Stefania Belmondo, mangiando le quattro prove della pista immersa nei boschi dello Utah in un totale di 2’57″941, risparmiando 329 millesimi su Hackl e un’altra valangata su Prock. In questo trio c’è la storia mondiale dello slittino di ogni tempo, però ad Armin non è che freghi molto.

Al termine della quarta prova alza il braccio prima del traguardo e lì ricominciano le immagini, la retina ricomincia ad essere offesa per la violenza con la quale vengono davanti tutti. Tutti, da Nina in giù, tutti. Tutti quelli che vedevano un fulmine disteso e pensavano al ragazzo del Maso di Voian. “Non ho mai avuto paura di perdere”, ripete una volta sceso dal destriero dietro il quale ci sono due nibelunghi che gli fanno da paggetti. Sale sul podio, gli danno in mano i girasoli e lui li butta alla folla, tenendosi stretto il tricolore. Il preparatore Andreatta se lo mangia e dice “ma avete visto che cavolo di gara ha fatto contro uno che vive con lo slittino anche nel letto, messo tra lui e la moglie?”. Il ct Dal Fabbro ammette che c’è la mano della Signora del Fato. La gara è andata in scena a temperature fredde. “E per fortuna – sorride il ct – perché avevamo solo la sciolina per il freddo… l’altra era nelle valigie che abbiamo perso arrivando qui… o che ci sono state rubate”. Non importa, dai. Adesso è storia e la storia è solo all’inizio.

 

Francesco Facchini

Di professione #sharindaddy, racconto storie da 30 anni. Ho un futuro dietro le spalle fatto di un Mondiale e due Olimpiadi, ma anche di esperienze giornalistiche in ogni tipo di medium (oh, è latino, mi raccomando). Amo il calcio, quello vero, ma da quando ho visto la fiamma olimpica non mi sono più riavuto.

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