Matteo Arnaldi, il nuovo nome del tennis italiano. Un US Open da incorniciare per il 22 enne di Sanremo, capace di arrampicarsi sino agli ottavi di finale dello Slam dopo i tre set a zero rifilati a Cameron Norrie. Atteso da una sfida impossibile contro Carlos Alcaraz, adesso ha tutto da guadagnare. Nell’attesa di un nuovo miracolo, si gode una crescita esponenziale, in campo e nel ranking.
Dai margini della classifica al top
Ventiquattro mesi fa, quando si affacciava fra i grandi, l’obiettivo più realistico del giovane Matteo era di entrare nella geografia del tennis. Fuori dai radar, con una classifica impietosa: fra #800 e #900 del ranking. Due anni dopo, è tutto cambiato: se c’era un Matteo che, secondo logica, avrebbe dovuto mantenere promesse e premesse, l’identikit avrebbe condotto a Berrettini. La sfortuna ha chiuso le porte in faccia al tennista romano e ha sorriso a questo 22enne che gioca un tennis pulito e redditizio. In pochi mesi dalla casella #61 del Ranking si è spinto sino alla #47 e dopo Flashing Meadows, comunque vada a finire contro Alcaraz, la posizione in classifica è suscettibile di variazioni verso l’alto. Allo status quo, è già sicuro di essere fra i primi 50 e dunque di raggiungere il quarto posto fra gli italiani in classifica. Se dovesse centrare una nuova impresa, supererebbe anche Sonego.
Un salto di qualità figlio del lavoro
Parlare di miracolo sportivo, seppure i risultati di Arnaldi siano oggettivamente sorprendenti, appare comunque riduttivo e ingeneroso in relazione ai progressi di un ragazzo che ha una grandissima cultura del lavoro e del sacrificio. Ha anche dormito in un garage pur di non perdere un torneo ITF in Georgia. Ha lasciato il Centro di Tirrenia per tornare a Sanremo dove si è costruito un team che lo ha aiutato a esplodere. Alessandro Petrone e Matteo Ciravolo lo aiutano in campo; Diego Silva e Filippo Ferraris curano la parte atletica. Come Sinner, il ragazzo ha bisogno di mettere su anche qualche chilo per completarsi.
L’allenamento con Djokovic e la svolta
Del resto il suo tennis, ispirato all’idolo Novak Djokovic, è trasversale e adattabile a ogni superficie. Ha nella elasticità il suo punto di forza, gioca a tutto campo, abbina una grande fase difensiva a un’ottima lettura del match e dell’avversario. Il suo rovescio è importante, il dritto ha ampi margini di miglioramento. La sensazione è che gli manchi qualche “cavallo” nel motore, ma lavorando sulla potenza, può colmare questa lacuna. Dopo l’allenamento con Djokovic al Foro Italico, la svolta: “Ho capito che la differenza con i grandi non è solo nel tennis, ma nel modo con cui gestiscono lo stress e la partita”. Parole d’ordine, concentrazione, umiltà, e piedi per terra: la ricetta sembra giusta…