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    Home»Notizie»Giornata della Memoria: colpevoli di essere ginnaste
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    Giornata della Memoria: colpevoli di essere ginnaste

    Massimo BrignoloBy Massimo Brignolo27 Gennaio 2014Updated:4 Luglio 2022Nessun commento3 Mins Read
    La squadra olandese alle Olimpiadi del 1928
    La squadra olandese alle Olimpiadi del 1928
    La squadra olandese alle Olimpiadi del 1928

    STORIE. Per celebrare la Giornata della Memoria e commemorare tutte le vittime dell’Olocausto, Olympialab ha scelto di raccontarvi la storia dalla tragica fine della squadra femminile di Ginnastica Artistica olandese, vincitrice della medaglia d’Oro alle Olimpiadi del 1928.

    Furono quelle di Amsterdam le prime Olimpiadi nelle quali si svolsero prove di Ginnastica femminile, introdotta nel programma solo nella gara del Concorso Generale a squadre. Dodici ragazze olandesi divennero le eroine di quesi Giochi per il pubblico di casa, vincendo una delle sei medaglie d’Oro orange di quella edizione, precedendo nella classifica finale l’Italia e la Gran Bretagna. Cinque delle ginnaste e l’allenatore erano di religione ebrea e solo una settantina di anni dopo la loro vittoria, cinquanta dopo il termine del conflitto mondiale, si venne a conoscenza del fatto che, con una sola eccezione, tutte perirono nei campi di concentramento nazisti dopo essere state in testa alla lista delle persone ricercate nei rallestramenti tedeschi: la loro “colpa”, oltre al fatto di essere ebree, quella di aver primeggiato nel più puro di tutti gli sport minacciando la teoria della pretesa supremazia della razza ariana. I loro destini si conobbero solo a metà degli anni Novanta perchè gli archivi tedeschi le registrarono con il loro nome da sposate rendendo impossibile la ricerca anche al Comitato olimpico olandese; solo la testardaggine di Fred Lobatto, giovane spettatore dei Giochi del 1928, contribuì insieme all’Istituto Olandese di Genealogia Ebraica a trovare i loro nomi nelle liste delle migliaie di olandesi morte nei campi di sterminio.

    Judikje Simons morì nel campo di Sobibor, lager ai confini tra la Polonia e le attuali Bielorussia e Ucraina, dove morirono nelle sei camere a gas circa 300.000 prigionieri, 34.000 dei quali olandesi, una fabbrica della morte creata con l’unico scopo di uccidere il più rapidamente possibile i prigionieri, il 3 marzo 1943 con il marito Bernard e i due figli Sonja di cinque anni e Leon di tre anni. La famiglia Simons gestiva a Utrecht un orfanotrofio che ospitava 83 bambini e fu avvertita che i nazisti li stavano cercando e alcuni amici si offrirono di nasconderli. Deciserò però di continuare ad occuparsi degli orfani ed andarono incontro al loro fato che fu lo stesso di molti dei piccoli ospiti.

    Quattro mesi dopo la morte di Judikje, Helena Nordheim entra, sempre a Sobibor, in una camera a gas con il marito Abraham e la figlia di dieci anni, Rebecca. Quello stesso giorno, nello stesso campo di concentramento, trova la morte l’allenatore di quella magica squadra, Gerritt Kleerekoper con la moglie Kaatje e la figlia Elisabeth,, 14 anni. Il diciottenne figlio Leendert muore il 31 luglio del 1944 ad Auschwitz. Il 23 luglio del 1943, tre settimane dopo, la camera a gas della famigerata Sobibor segna la morte di Anna Polak e di sua figlia, 6 anni, Eva. Il marito muore il 30 novembre 1944 ad Auschwitz dove nel settembre del 1943 avevano trovato la morte Estella Agsterribe, sua figlia Nanny e suo figlio Alfred.

    La sola ginnasta di religione ebraica di quella squadra vincente ad essere sopravvissuta agli orrori dell’Olocausto è Elka de Levie, la cui storia non è mai stata raccontata. Lascio il mondo per morte naturale il 12 dicembre 1979.

    Amsterdam 1928 giornata della memoria olocausto
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    Massimo Brignolo

    Manager di una multinazionale, da quasi 50 anni guardo allo sport con gli occhi sognanti dell'eterno ragazzo. Negli ultimi anni, fulminato dall'aria olimpica respirata nella mia Torino, ho narrato lo sport a cinque cerchi, quello che raramente trova spazio nei media tradizionali. Non disdegno divagazioni nel calcio, mettendo da parte l'anima tifosa, che può ancora regalare storie eccezionali da narrare a modo mio.

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