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Non è solo da questi tornei che si giudica un campione

Peana di giubilo, tutti meritati, per Gianluigi Quinzi che ventisei anni dopo Diego Nargiso ha conquistato il titolo junior a Wimbledon. Un ragazzo di grandissimo talento sin dalla tenera età che nelle diverse categorie ha sempre vinto. Ma occorre qualche precauzione nel gridare, abitudine italica troppo diffusa che poi porta nel giro di pochi anni allo stracciarsi le vesti per promesse non mantenute, al sicuro futuro campione nel tennis dei grandi.

Siamo andati a prendere la lista dei vincitori di Wimbledon Boys, come li chiamano da quelle parti, da Nargiso ad oggi e ne viene fuori uno scenario variegato ma non confortante: il torneo londinese degli junior non è sinonimo di sicuro successo. Prescindendo dal fatto, senza dover ricordare Boris Becker che in una altra epoca ha vinto il titolo maggiore a 17 anni e 227 giorni solo 71 giorni più vecchio di Quinzi, che alcuni campioni come Nadal hanno direttamente saltato la categoria inferiore, nell’ultimo quarto di secolo solo quattro giocatori che hanno vinto il torneo giovanile sono entrati nei primi dieci della classifica mondiale in un qualche momento della loro carriera: l’immenso Federer, lo svedese Enqvist, il francese Monfils e l’austriaco Metzer. Se togliamo i 77 tornei vinti dallo svizzero (17 dei quali nel Grand Slam) e i 19 dello svedese (una finale di Grand Slam per lui), ventiquattro giocatori hanno messo insieme la miseria di 16 vittorie e ben 16 di loro non hanno mai assaporato la vittoria in un torneo del circuito.

Cinque non sono entrati nei primi 100 del ranking (diamo il beneficio dell’inventario ai vincitori delle ultime tre edizioni per ragioni anagrafiche), altri otto non sono entrati nei primi cinquanta.

 

Analisi M.Brignolo / Alanews

 

 

Massimo Brignolo

Manager di una multinazionale, da quasi 50 anni guardo allo sport con gli occhi sognanti dell'eterno ragazzo. Negli ultimi anni, fulminato dall'aria olimpica respirata nella mia Torino, ho narrato lo sport a cinque cerchi, quello che raramente trova spazio nei media tradizionali. Non disdegno divagazioni nel calcio, mettendo da parte l'anima tifosa, che può ancora regalare storie eccezionali da narrare a modo mio.

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