Il morbo di Parkinson (così come la demenza e altre malattie neurodegenerative) è il prezzo che molti ex giocatori pagano per le tante botte alla testa prese in carriera
Poche parole, ma comunque scioccanti quelle pronunciate da Brett Favre, 54 anni, uno dei più grandi quarterback della storia della Nfl. Con la maglia dei Green Bay Packers ha vinto un Super Bowl nel gennaio del 1997 – battendo a New Orleans i New England Patriots – e per tre anni è stato Mvp della lega. “Ho il morbo di Parkinson”, ha detto rivelando la diagnosi, ricevuta di recente, in un’audizione al Congresso degli Stati Uniti. Il morbo di Parkinson (così come la demenza e altre malattie neurodegenerative) è il prezzo che molti ex giocatori pagano per le tante botte alla testa prese in carriera. Si tratta di una malattia degenerativa del sistema nervoso e causa il deterioramento di parti del cervello e influenza il movimento.
“Purtroppo, ho anche perso un investimento in un’azienda che credevo stesse sviluppando un farmaco rivoluzionario contro la commozione cerebrale che pensavo avrebbe aiutato gli altri. Per me ormai è troppo tardi, perché recentemente mi è stato diagnosticato il Parkinson. Ma questa è una causa che mi sta particolarmente a cuore”, ha aggiunto Brett Favre nel suo intervento.
Cosa è successo?
Già nel 2018 Favre aveva fatto riferimento alle numerose commozioni cerebrali riportate in 20 anni di carriera professionistica, ben al di là dei report ufficiali. “Sono a conoscenza di tre o quattro episodi, ma quando senti un ronzio nelle orecchie o cominci a vedere le stelle, quella è una commozione cerebrale”, furono le sue parole al programma Today Show della Nbc. Aggiungendo: “Se quella è una commozione cerebrale, io ne ho avuto centinaia, forse migliaia in carriera. Ed è spaventoso”.
Resta, però, la problematica delle commozioni cerebrali dei giocatori di Nfl. E se ne discute da anni negli Stati Uniti: gli organi che governano il mondo dello sport minimizzano (a volte anche negano) ma è ormai risaputo che la maggior parte dei giocatori professionisti tende a riportare gravi danni al cervello, dovuti ai moltissimi colpi alla testa che subiscono (che il casco riduce soltanto in parte).
Lo studio
Soltanto nel 2016 la Nfl ha ammesso il collegamento tra l’encefalopatia traumatica cronica e il football americano. Nel 2017, invece, erano stati pubblicati i risultati di un imponente studio condotto esaminando i cervelli di 202 ex giocatori di football, morti per varie cause a età comprese tra i 23 e gli 89 anni. Di questi 202 giocatori, 111 giocavano nella Nfl e 110 avevano l’encefalopatia traumatica cronica (CTE), una sindrome causata dall’accumularsi di ripetute commozioni cerebrali.
La CTE, come tutte le sindromi, presenta sintomi diversi da loro, che vanno – a seconda della gravità – da deficit di attenzione e disorientamento a demenza, vertigini, difficoltà nel linguaggio, perdita della memoria, depressione, scatti d’ira e alterazione della personalità. I sintomi della CTE possono presentarsi anche anni dopo il ritiro del giocatore. Oltre ai giocatori della Nfl, i 202 cervelli analizzati provenivano anche da giocatori della lega canadese, di campionati semi-professionistici o giovanili. In totale, l’87% mostrava i segni della CTE: più grave in chi aveva giocato fino all’età adulta, più lieve nei giocatori dei campionati di high school o college.
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