L’Italia esce dai Campionati Mondiali di Nuoto di Barcellona con la medaglia d’Argento di Federica Pellegrini nei 200 stile libero, il Bronzo di Gregorio Paltrinieri, 12 finali (due quinti posti, tre sesti posti, due settimi e tre ottavi posti). In lieve ripresa dalle Olimpiadi di Londra dove non arrivarono medaglie e i finalisti furono otto (quattro quinti posti, tre settimi e un ottavo posto), decisamente peggio che ai Campionati Mondiali del 2011 dove arrivarono le due medaglie d’Oro di Federica Pellegrini, il doppio Argento targato Scozzoli al quale si aggiunse quello nei 50 sl di Luca Dotto, e un quarto, tre settimi e un ottavo posto.
Con una certa frequenza, comunque, gli ultimi anni evidenziano una sindrome tutta italiana che si manifesta nei grandi eventi: l’incapacità a differenza dei concorrenti di fare coincidere l’appuntamento chiave dell’anno con il picco di prestazione. Con la redazione di Olympialab abbiamo monitorato le prestazioni dei nuotatori italiani a Barcellona e, contando a livello individuale 46 presenze gara, solo in dieci casi il personale stagionale è stato migliorato, e otto di questi hanno comportato anche il nuovo primato personale. Elenchiamoli in ordine sparso: Ilaria Bianchi nei 100 farfalla, Piero Codia e Matteo Rivolta nei 50 Farfalla (personale assoluto per entrambi), Fabio Scozzoli nella pur deludente finale dei 100 rana nei quali Mattia Pesce ha stabilito il primato personale, Federica Pellegrini che in semifinale ha migliorato il record stagionale e in finale ha migliorato il suo personale in tessuto, doppio primato personale in batteria e semifinale per Stefania Pirozzi nei 200 Farfalla, ancora Matteo Rivolta al personale anche nei 100, Martina De Memme nelle batterie degli 800 stile libero e Gregorio Paltrinieri nella finale bronzea dei 1500. E’ tutto italiano questo problema di non essere in grado di centrare la migliore prestazione quando serve: a una lettura superficiale si potrebbe pensare che la qualificazione si trasformi in obiettivo invece che in mezzo ma è da valutare quanto, invece, i problemi non siano legati ai tempi di preparazione e alla ridotta abitudine a partecipare a competizioni di livello durante l’anno.
Un’altra osservazione: in 13 gare un nuotatore azzurro ha disputato al mattino le batterie e al pomeriggio la semifinale, e in quasi metà di esse (sei) non è stato in grado, come sarebbe naturale, di migliorare la prestazione nel secondo turno. Tre azzurri, nelle lunghe distanze, si sono qualificati per la finale del giorno successivo e due si sono migliorati. La sfilata di interviste post-gara ai microfoni RAI è stata un campionario di stanchezza e malanni vari e allora la teoria che vi siano dei problemi con le modalità di preparazione della gara dell’anno si fa decisamente probabile.
Per non dire del solito campionario della “sfortuna”, che casualmente colpisce sempre e solo i nuotatori italiani. Per non dire del solito campionario degli “allenatori italiani che sono tra i migliori al mondo”.
La verità è che i nuotatori italiani danno l’idea di essere viziati, amanti delle comodità, incapaci di confrontarsi, pavidi.
L’unica che ha avuto il carattere di scardinare in continuazione le proprie certezze, ha un nome e cognome ben conosciuti.
Da tempo sono convinto che la nazionale avrebbe bisogno di arruolare nei ranghi dei buoni tecnici stranieri. Ormai è un ambiente in cortocircuito che ha bisogno di rinnovarsi da tutti i punti di vista. La federazione si bea di avere 5 milioni di praticanti(!). Se è così, parliamo di numeri che ben pochi paesi possono vantare. Come mai allora non si riesce quantomeno a fare in corsia quello che hanno fatto le piccole Ungheria e Danimarca, un Sudafrica, un Brasile?