Regole da cambiare,   il caso di Ilaria Bombelli

Ilaria-BombelliDOPING & CO. Due righe in un comunicato stampa dove il Tna “afferma la responsabilità della stessa in ordine all’addebito ascrittole e ritenuta la diminuente della colpa non significativa le infligge la sanzione della squalifica per un anno”, così come erano state due righe due mesi fa ad informare del suo deferimento: Ilaria Bombelli, vent’anni lo scorso venti aprile, ginnasta che nelle scorse stagioni ha fatto parte del giro della Nazionale, deve fermare la sua corsa per un anno. La causa? In occasione della quarta prova del campionato nazionale di serie A nelle sue urine sono state riscontrate tracce di un metabolita, il Clostebol, un anabolizzante presente in alcuni prodotti da banco che hanno come indicazioni la cura di ulcere e la cicatrizzazione. Non è un caso di doping come tanti, a Ilaria il farmaco è stato prescritto per curare i fastidiosi effetti di una patologia di cui soffre.

Il problema è che le regole sono ferree anche se questo caso sottolinea come siano da cambiare affinchè la lotta al doping sia veramente efficace e non prenda nella rete chi al massimo può essere colpevole di una negligenza lasciando “liberi” i casi più lampanti. Allo stato delle cose le regole prevedono che mentre per i corticosteroidi l’uso topico è consentito questo non è possibile per gli anabolizzanti. Se un tempo qualche santone molto frequentato da atleti e tecnici sosteneva che “se non si può scoprire non è doping”, le regole paiono ragionare nello stesso modo: se si scoprono tracce è doping, a prescindere.

Il principio ispiratore di un serio ed efficace regolamento contro uno dei mali che sta uccidendo lo sport dovrebbe essere quello di vietare ogni pratica volta all’alterazione del risultato sportivo o che comporti rischi alla salute: se applichiamo questo principio, che sottoscriviamo senza un istante di indugio, il caso di Ilaria Bombelli NON è doping.

Secondo le regole in vigore sì. Questo può solo significare che le regole devono essere cambiate per dare garanzie di punibilità nei casi di vero tentativo di alterazione dei risultati e allo stesso tempo proteggere in casi come questo dove il ricorso ad un farmaco è avvenuto solo per proteggere la salute di una atleta; e qualche dubbio lo deve avere avuto anche il Tribunale Nazionale Antidoping se ha applicato tutte le attenuanti per ridurre la sanzione dal massimo di tre anni ad un anno. Altrimenti continueremo ad avere statistiche, delle quali qualcuno andrà fiero, di “falsi” positivi ai controlli antidoping senza intaccare minimamente alla radice il mostro.

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