Letta a Sochi e la realpolitik di una candidatura

TORINO. La notizia ufficiale arriva dal Cremlino prima che da Palazzo Chigi e il segnale è inquietante: il Presidente del Consiglio, Enrico Letta, presenzierà alla Cerimonia di Apertura delle Olimpiadi di Sochi. Si tratta di una posizione, si può discutere all’infinito se il boicottaggio di rappresentanza abbia un senso oppure no, che distanzia l’Italia dagli Stati Uniti e dalle grandi potenze europee dopo il no di Barack Obama, della cancelliera tedesca Merkel, il premier inglese Cameron, il presidente francese Hollande, la vicepresidente della Commissione Ue Viviane Reding. Nascondere le assenze e rendere i presenti testimonial della grandezza della russa putiniana sarà la parola d’ordine delle prossime tre settimane a Sochi e l’Italia rischia di entrare in questo gioco di diplomazia e pesi contrapposti, anzi vi è già entrata nel momento nel quale l’annuncio della presenza è arrivata dalla Russia e non da Roma. A che pro? “A Sochi ribadirò la contrarietà dell’Italia a qualunque norma o iniziativa discriminatoria nei confronti dei gay, nello sport così come fuori dallo sport” ha dichiarato dal Qatar il Presidente del Consiglio ma, se ance così fosse, sarà una goccia che solo fuori dalla Russia avrà qualche seguito. La vera ragione, Letta la confessa: la sua presenza a Sochi è una cambiale da portare all’incasso quando qualcuno deciderà, con una buona dose di incoscienza, di proporre la candidatura italiana per le Olimpiadi Estive del 2024. Il viaggio, si perita di far notare Letta è stato deciso in accordo con il Presidente della Repubblica, il Presidente del CONI e il Ministro dello Sport; “è un dovere essere a Sochi, bisogna esserci per cominciare a far marciare questa candidatura”. Una cambiale da riscuotere sia nei confronti del movimento olimpico che non potrà dimenticare le assenze di venerdì prossimo, sia nei confronti della Russia e del complesso mondo di satelliti che con i loro voti olimpici gravitano intorno ad essa.

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