C’è chi corre per passione, c’è chi ne ha fatto una ragione di vita, e c’è chi, come Fred Kerley, ha corso per fame e lo ha fatto nel senso più vero del termine. In una lunga intervista rilasciata alla BBC, il campione del mondo ha parlato della sua infanzia difficile e di come l’atletica, più che uno sport, sia diventata una sorta di missione per sfuggire dalla miseria.
Per sua stessa ammissione, l’infanzia del 27enne è stata “dura”. Adottato dalla zia, Kerley è cresciuto nella piccola città di Taylor, vicino ad Austin, in Texas, in una casa con 13 bambini che vivevano sotto lo stesso tetto. Una vita a correre per qualcosa di più grande di lui, quanto basta per acquisire quella mentalità che gli ha permesso di raggiungere il gradino più alto del mondo e non per la gloria, ma per il frigo pieno: “Non voglio che nessuno nella mia famiglia debba preoccuparsi di come ci si possa procurare il prossimo pasto, come è successo a me”. Una vita di sacrifici, incarnata dalla finale di Eugene la scorsa estate, quando ha corso e centrato la medaglia d’oro nei 100 nonostante fosse infortunato che, peraltro, ha messo fine alle speranze di ripetere il successo nei 200 metri.
Kerley ha già fissato i propri obiettivi: a Budapest, cercherà di bissare l’oro e solo dopo inizierà anche a pensare a Parigi 2024. L’obiettivo è progredire step by step prestando la maggior attenzione possibile ai messaggi che gli invierà il corpo. Kerley è solo il terzo uomo nella storia a correre sotto i 10, 20 e 44 secondi rispettivamente per i 100, 200 e 400 metri. Quanto basta per puntare a emulare Bolt e diventare il primo uomo a completare una doppietta mondiale dallo sprint dal giamaicano nel 2015.
Tra il dire e il fare però, c’è di mezzo il Mar…cell. Jacobs è l’acerrimo rivale di Kerley che sinora, negli scontri diretti è sempre arrivato dietro il velocista azzurro. La sconfitta di Tokyo, dove Kerley ha dovuto accontentarsi dell’argento per appena quattro centesimi, è un qualcosa che ancora non ha digerito. Anche perché la visione del mondo dello sprinter è abbastanza manichea. I tempi e i miglioramenti vanno e vengono, sono solo le medaglie a durare per sempre. Ed il velocista è più che mai desideroso di fermare il tempo, scandendo il suo nome sul cronometro.
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